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  • Immagine del redattoreStefania Salvatore

"Nel mio ristorante non voglio vegani": la controversia Australiana che mancava al marketing

Oggi comincio questo articolo affrontando subito una questione che altrimenti rischierebbe di diventare spinosa.


E cioè che non ho nessuna posizione assolutistica quando si affrontano certe argomentazioni che possono persino causare sofferenza.


Non mi disturba chi mangia la carne e al tempo stesso non mi disturba chi preferisce non mangiarla. Mi interessa soltanto il reciproco rispetto alla base di una pacifica convivenza

tra esseri umani intelligenti.


Detto questo, capisco perfettamente che SOLO e SOLTANTO in termini di marketing questa controversia ha un grande motivo di esistere perchè premia il concetto di focalizzazione, ossia l'esatto contrario del tutto per tutti e magari al miglior prezzo possibile purchè onesto.


Nel marketing (che ti ricordo ha a che fare con le percezioni e non con la logica) non c'è posto per le sfumature di grigio: il mondo può essere bianco o nero, bello o brutto, buono o cattivo, desiderabile o riprovevole... e via di questo passo.


Magari potrà non piacerti, ma l'inclusività ed il buonismo non funzionano quando si parla agli impulsi e all'emotività (che fanno parte delle percezioni e non della logica, giusto per rimarcarne l'importanza).


Prova ne è il recente tracollo della campagna Maybelline, preceduta da quella Bud Light (senza dimenticare l'incredibile flop della Disney con la pellicola Strange World).


Se ti sei perso quanto accaduto con Bud Light, eccone un breve riassunto.


Dopo che la partnership con l'attivista trans Dylan Mulvaney è diventata virale, Anheuser-Busch ha perso circa 5 miliardi di dollari di valore di mercato a causa delle richieste di boicottaggio a livello nazionale, e bar e distributori in tutto il paese hanno registrato cali significativi nelle vendite di Bud Light.


Il contraccolpo ha portato il marchio a scuotere il suo team di marketing e il CEO Brendan Whitworth ha pubblicato una lunga dichiarazione sperando di reprimere l'animosità rivolta a Bud Light e alla sua società madre.


Ma ormai è tardi perchè il pubblico principale di Bud Light, composto in prevalenza da conservatori, ha trovato altri Brand più in linea con la loro visione del mondo.


Coors Light – la principale concorrente della Bud Light – ha aumentato le proprie quote di mercato. Il cantante country Travis Tritt ha annunciato che i prodotti a marchio Anheuser-Busch non saranno più venduti nei suoi tour, preferendo Coors Light.

Il Wall Street Journal ha definito l’intera vicenda «un caso da manuale su come NON fare marketing e NON gestire una polemica che riguarda le guerre culturali».

bud light crollo

Tornando a noi e all'articolo odierno, un ristorante a nord di Perth, in Australia, ha sganciato una vera e propria bomba mediatica: “i vegani non sono più benvenuti”.


Il messaggio è semplice: chi cerca una cucina vegetale dovrebbe "cercarla altrove".


Succede al ristorante Fyre, guidato dello chef John Mountain, che lo ha scritto nero su bianco sul proprio account Facebook: «Purtroppo, tutti i vegani sono ora banditi (per il bene della nostra salute mentale). Grazie per la vostra comprensione».


La decisione è stata innescata a seguito di un vibrante reclamo da parte di una cliente.


«Una giovane signora mi ha contattato per conoscere le nostre opzioni vegane - ha raccontato - Le ho garantito che l'avremmo accontentata: abbiamo gnocchi, verdure, ma il menù non va oltre».


Mountain spiega che quel sabato - il giorno della visita della cliente - era impegnato con un evento privato. Nella concitazione del momento ha dimenticato di avvisare la sua brigata della presenza della commensale vegana.


Il giorno successivo la cliente ha scritto una recensione su Facebook lamentandosi della scarsità di opzioni.


«L'unica mia scelta era un piatto di verdure; era decente, ma sono rimasta sbalordita nel vedere che costava 32 dollari. Penso che al giorno d'oggi sia incredibilmente importante che i ristoranti possano accogliere tutti e il fatto di non poter avere veri pasti a base vegetale denota i tuoi difetti come chef».


E poi l’affondo: «Ho visto molti ristoranti andare e venire da quel locale, e nessuno di loro ha avuto vita lunga. Se non stai al passo, il tuo sarà il prossimo».

FYRE message

Divieto ai vegani


Mountain, adirato dall’attacco personale, ha reagito con veemenza al reclamo della cliente.


«Preferisco concentrarmi sulla maggioranza dei clienti, piuttosto che sui vegani/vegetariani, che rappresentano una piccola minoranza.


Tu e tutti i tuoi amici potete andare a gustare i vostri piatti in un altro locale, visto che, da ora, qui siete banditi».


Durante la notte il ristorante è stato letteralmente sommerso da recensioni negative su Google. "Abbiamo iniziato a ricevere tutte queste recensioni senza alcun commento reale.


Da qui la scelta di chiarire ancora meglio la “filosofia” del ristorante in tema di clienti vegani. Riflettendo sulla reale applicazione del divieto, Mountain sostiene che è


«Semplicemente impossibile accontentare tutti in ogni momento. Il mio non è un ristorante vegano. Se vogliono, possono andare in un ristorante che fa questa cucina. Il loro atteggiamento è la ragione del divieto».


Ovviamente la questione ha acceso la miccia.


E ne è nato un dibattito più ampio sulla necessità per i ristoranti di essere inclusivi e di offrire opzioni per tutti i tipi di diete.


Ma sarebbe una scelta sbagliata per le stesse ragioni che hanno colpito duramente Bud, Maybelline, Disney, ecc.


La verità è che le persone, per quanto cerchino di mascherarsi con gesti più nobili e dal significato più alto, sono estremamente egoiste quando si tratta di loro stesse.


Ecco perchè cercare di accontentare tutti finisce con il non accontentare nessuno in particolare. Ma questo è l'esatto contrario rispetto alla sacra legge della focalizzazione.


Tu vuoi includere e le persone si auto-escludono perchè non si sentono rappresentate, capite, adatte... e tanto altro. Si disaffezionano al Brand.


Nel momento in cui escludi, invece, il tuo messaggio e la tua proposta diventano più magnetici verso chi sposa la causa, facendo affezionare le persone al Brand.


È un ragionamento contro-intuitivo, ma anche il marketing lo è.

john mountain Fyre

Focalizzazione, come non sbagliare


Il concetto più potente nel marketing è possedere una parola nella mente del cliente potenziale. Così sosteneva Al Ries, il padre del posizionamento di marca.


Quello che intende Al è che le aziende devono focalizzarsi sui prodotti o servizi che sanno fare/erogare meglio, rinunciando a tutte le attività che gli fanno sprecare energie e risorse.


Anche se sembrano opportunità di business molto ghiotte.


Questa legge (una delle più fondamentali tra le 22) spiega come far crescere la propria azienda, come aumentare la quota di mercato e rinforzare il valore offerto al pubblico senza allontanarsi dalla strada di riferimento.


Per farla breve, la defocalizzazione è il pericolo da evitare a tutti i costi.


Purtroppo, il meccanismo che porta a perdere il focus è sempre lo stesso:


Un’azienda di successo parte di solito concentrandosi intensamente su un singolo prodotto. Con il tempo l’azienda perde il punto focale perchè crede che il Brand ormai possa fare tutto da solo e lo si possa appiccicare ovunque. Offre troppi beni e servizi per troppi mercati, a troppi livelli di prezzo differenti. Smarrisce la strada che stava seguendo. Non sa più dove stava andando e perché. La missione aziendale perde il suo significato”.


E lì iniziano i problemi: l’azienda non sfonda nei nuovi business – anzi, ci rimette soldi – e i concorrenti iniziano ad erodere quote di mercato nel business originario!


D’altro canto, chi conosce il marketing sa bene che “nessun prodotto o servizio può rivolgersi a tutti. Ci saranno sempre persone che vogliono essere diverse dagli altri, che vogliono scegliere qualcosa che la maggioranza non vuole.


Questo è vero nell’abbigliamento, nelle pettinature, nei modi di vita, nei prodotti e nei servizi. Il tentativo di rivolgersi a tutti è il singolo errore più grande che un’impresa possa compiere. Meglio delimitare il tuo terreno e tenere fuori tutti gli altri”.


Ricorda: “quando cerchi di essere tutto per tutti, finisci inevitabilmente nei guai.


Personalmente ho stampato in ufficio un poster che riporta una frase trascritta da un collaboratore di Walt Disney durante una riunione aziendale:


‘Preferisco essere forte in qualcosa che debole in tutto'.


100 anni fa lui lo aveva già capito.


E tu?


Spero ti sia chiaro che non si può piacere a tutti.


Bisogna rassegnarsi e accettarlo.


Nel frattempo, se vuoi imparare a focalizzare la tua struttura ricettiva, stringere il raggio d'azione del Brand ed attrarre il giusto target di ospiti, ti consiglio di investire una cifra ridicola sul mio ultimo libro, Brain Positioning.


Prendi la tua copia ora e preparati a rendere la tua struttura ricettiva un'oasi di meraviglia e incanto in cui le percezioni si fondono per creare esperienze straordinarie che restano impresse nel cuore di ogni singolo ospite...


... che non vedrà l'ora di tornare da te e soltanto da te.


Allunga - ADESSO - le tue mani su Brain Positioning: costa meno di un portachiavi personalizzato e sarà tuo in men che non si dica attraverso un semplice clic su questo link

Un grande abbraccio e grazie per avermi dedicato una piccola parte del tuo tempo,


a presto.


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